BUCA DEL CORNO - ENTRATICO


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Malanchini L. 1942

DOCUMENTI > STORIA/GEOGRAFIA

Due vecchie fotografie dell'ingresso della grotta. Sopra si vede il diverticolo laterale dell'ingresso nei cui depositi, ora completamente rimossi, sono sttati trovati numerosi oggetti di interesse paletnologico

Malanchini Luciano, 1942

ESCURSIONI SCIENTIFICHE LA BUCA DEL CORNO (I)


Quest’anno si può considerare valevole anche per il maggio il proverbio che dice: d’aprile, ogni goccia un barile. Un giorno sole caldo, un altro acqua a catinelle; un terzo nuvolo, minacciante pioggia.
A ragione quindi non volete seguirmi tutti in gite, anche corte come la prima a Ranica, perché si corre il rischio di partire asciutti con un sole splendente, e di rincasare mogi mogi ed inzuppati da una pioggia inopportuna.
Stando così le cose vi propongo di tagliare il male a metà e di autorizzarmi a condurvi a visitare un posto ove, ci sia il più bel sole dell’universo, o nere nubi faccian prevedere un temporale, si torna certamente con almeno un piede impregnato di acqua, le mani, i pantaloni, la maglia sporchi di fango e la schiena umida, volendo, s’intende, fare le cose bene.
Capisco che l’idea vi sorride poco, ma che siete tentati anche un pochino dalla curiosità.
Vi siete decisi allora? Sì? Preparate la colazione nei sacchi, calzate le scarpe da montagna più impermeabili possibile, indossate il vestito meno rovinabile, e seguitemi.
Andremo alla Buca del Corno, o Grotta dei Pipistrelli (“sgrignapole”, localmente), celebre per essere stata in parte descritta dallo Stoppani, nella serata diciannovesima del suo
Bel Paese.


La strada per giungere alla Buca ed il paesaggio

Portiamoci con un mezzo qualunque, ad Entratico, piccolo paese posto in posizione ridente ed elevata sulla sponda sinistra della Val Cavallina, poco dopo Trescore Balneario. Il suo territorio è conosciuto nei dintorni per le pesche che vi si producono.
Inoltriamoci nell’abitato, percorriamo le strade non perfettamente selciate, preludio a ben altri sassi, ed incamminiamoci per la mulattiera che, partendo dalla piazzetta interna, sale verso la collina. Se a tratti si passa su un fondo decente, a tratti sembra di essere in mezzo al letto di un torrente, tanti sono i pezzi di roccia liberi che lo ingombrano. Quella su cui saliamo, è la collinetta che forma la riva destra della Colta.
In meno di venti minuti arriveremo, dopo un primo bivio, ad un punto della mulattiera, donde si stacca un sentiero. Percorriamolo.
Esso corre, seguendo a mezza costa il M. Sega che lo sovrasta, in mezzo ad arbusti e pianticelle di nocciolo selvatico, e non ci obbliga a soffiare, come per la salita precedente, essendo quasi piano.
Al termine di esso, troveremo una sorgente, sgorgante da una incavatura della roccia, cui potremo rifornirci di acqua potabile per la futura colazione. E la caverna? Si vedono, sì, non molto lontano, alcune rocce calcaree bianche, emergenti dai verdi prati circostanti, contornato da castagni, ma di cavità nulla. Non abbiate fretta. Sediamo sul prato vicino alla fonte, a tergerci il sudore, che potrebbe essere pericoloso entrare madidi nella Buca, ed intanto ammiriamo il panorama.
Noi siamo vicino al principio delle due diramazioni che formano la già ricordata Valle della Colta, la quale, insieme a quella dei Brugali, costituisce la Valle al cui sbocco è posto Entratico. A destra si vede il sentiero percorso; dietro il M. Sega; a sinistra un dosso digradante verso il paese, con la Contrada Corno, che probabilmente ha dato il nome alla Buca. Di fronte abbiamo il M. Misma, con visibili i suoi strati bizzarramente contorti, poi la cresta omonima, da cui si stacca la Costa del Colle, ed il M. Prenda, curioso per la sua cima terminante con una parete erta e nuda, circondata dietro da prati, e per le profonde incisioni nei suoi fianchi.
Sapete ciò che si racconta nei dintorni sulla Grotta? No? Ve lo dirò allora io. Narrano i vecchi che, una volta, due frati, attaccata una corda all’esterno, penetrarono dentro, calandosi poi in un baratro. Che è, che non è, la corda si ruppe, e gli imprudenti esploratori più non videro la luce del sole. Rassicuratevi, però, che non subiremo di certo la loro sorte.



Finalmente la Buca

Vi siete riposati? Procediamo per i prati, diagonalmente. Improvvisamente si apre dinnanzi a noi l’imboccatura dello speco. Essa ci era prima nascosta, perchè posta obliquamente rispetto a chi giunge dal sentiero da noi percorso, mentre invece si può scorgerla salendo appena sopra Entratico.
Accendiamo la lampada ad acetilene che abbiamo portato e poniamo in tasca, prudentemente, una candela ed una scatola di zolfanelli, ben protetti dall’umidità. Qualora andaste a visitare grotte, non prendete mai lampadine a pila; potrebbero scaricarsi in breve tempo e farvi passare dei brutti momenti. Per intenderci bene, e non creare confusioni, avremo la destra e la sinistra nel senso verso cui procederemo. Esploreremo prima tutta la parete, i cunicoli, le diramazioni laterali, ecc., che incontreremo alla nostra dritta, inoltrandoci nella caverna e poi nell’uscirne, quelli che osserveremo dal lato opposto.
Incominciamo pure. Proprio sull’imbocco c’è un lungo buco, terminante in fondo con una concrezione pensile. Passando sotto di essa, ventre a terra, si giunge in una cameretta bassa, il cui pavimento è coperto di sassi. Pochi metri avanti, un altro budello ci fa credere di condurci chi sa dove, ma poi si stringe irremissibilmente.

Proseguiamo. La caverna, prima larga, si fa più stretta, e diventa un vero tunnel, rotondo, con andamento a zig zag, nel cui fondo scorre sempre il ruscello che alimenta la valle dei Brugali. Scompare ora la luce che ci giungeva dall’imbocco. Una vasta apertura invita ad entrare. Ci troviamo in un vano altissimo, tanto che sembra di essere all’interno di un campanile.
La stalattite a cortina che vi scende è meravigliosa per la sua altezza. Non spaventatevi, se a tratti sentirete un rumore come di tuono lontano. Sono i pipistrelli che volano, di cui faremo la prossima conoscenza, e che saranno i nostri compagni di gita.
Ora la galleria si allarga nuovamente. Un enorme masso, probabilmente caduto dalla volta, fa temere di non poter procedere, ma vediamo due spazi laterali alla sua base, che permettono di arrivare al camerone centrale, cui giunse lo Stoppani. Lo spettacolo è imponente, tanto alta e vasta è la volta. Alla luce delle nostre lampade, si rivela in alto una cavità, difficilmente raggiungibile causa la parete verticale sottostante. Seguitiamo a rimontare il ruscello, approfittando delle emergenze delle rocce. Attenti però a non sdrucciolare (la pietra è molto viscida), chè l’acqua è molto curiosa di sapere di che qualità siano le nostre calze.

Sopra di noi si apre un crepaccio, a volte visibile in tutta la sua altezza a volte nascosto da massi caduti ed incastrati nelle parete. Un foro ci invita a visitarlo. Strisciando come serpi, dimenandoci e riempiendoci di terriccio i capelli, sbuchiamo in uno stretto camino. A forza di gomiti, non essendoci appigli per le mani, manovrando come gli spazzacamini, riusciremo ad innalzarci un po’ ma la terra franosa che lo riveste non permette di proseguire. Sapremo in seguito ove va a finire. Sortiti, incontriamo poco dopo una vera colata gialla, calcarea, uscente da una stretta fessura. Inerpichiamoci, e, passando sotto ad una cortina stalattitica rivestente un masso che sbarra il cammino, inoltriamoci per la nuova via, bagnata da poca acqua. Si giungerà presto ad una cameretta terminale. Il pavimento è tutto coperto di argilla viscida e sdrucciolevole, che, curiosa come l’acqua, vuole sapere se la stoffa del fondo dei nostri pantaloni sia di pura lana o no.


A tu per tu coi pipistrelli

Una piccola spaccatura, di difficile accesso porta ad un pozzo profondo dai tre ai quattro metri. Se vi calerete giù, sarà una delusione, finendo esso irremissibilmente.
Se lo vorrete fare, portate sufficiente corda, per non dover passare un po’ di tempo, attendendo gli aiuti, in compagnia di una numerosa colonia di pipistrelli. Infatti questo, per la sua posizione è un luogo preferito da essi, che, giungendovi noi, incominceranno a svolazzare intorno alla lampada, sfiorando la faccia o la testa colle loro ali e squittendo fortemente.
Chi ha nervi sensibili non ci segua: potrebbe andargli a male la prossima colazione che lo attende.
Torniamo sulle nostre orme, e proseguiamo per il ramo in cui scorre il ruscello principale. Giungeremo presto ad un piccolo laghetto, alimentato da un cascatella, che ha formato una vasta concrezione, precipitante da un’altezza che a noi pare infinita. Una forte corrente d’aria, foglie e rametti freschi caduti nel laghetto e appiccicati alle pareti, ci avvertono che vi deve essere una comunicazione coll’esterno.
Anche di questo avremo una prossima spiegazione. Non arrabbiatevi se, ogni tanto, vi sentirete scorrere nella schiena acqua fredda; la caverna non è di certo fornita di rubinetti per interrompere le docce che ci propina gratuitamente. Volgiamoci e ritorniamo al camerone centrale. Nulla di notevole c’è nella parete che osserviamo ora. Proprio a destra di dove sbocchiamo noi, si vede in alto una fenditura. Arrampicandoci sulla parete, entreremo in un corto corridoio tortuoso, sede di un’altra colonia sgrignapolesca (chiedo scusa ai puristi per l’invenzione del nuovo aggettivo), che fu oggetto di caccia da parte del compagno dello Stoppani, di cui potremo bene osservare i componenti, essendo essi aggrappati alla nostra altezza, tutti avvolti nelle loro ali nere. La via che percorriamo noi si divide ben presto in due rami, che vanno a sbucare, uno prima, l’altro dopo, a mezza altezza del crepaccio, sul cui fondo scorre il ruscello, che abbiamo da poco visitato.
Proseguendo per il ramo sinistro e superando il crepaccio, poggiando la schiena su di una parete ed i piedi sull’altra, andremo avanti ancora per non molto. E in questo punto che sbuca il camino che non riuscimmo precedentemente a salire.
Ritorniamo verso l’imbocco della caverna. Quasi di fronte al camerone contenente l’alta stalattite, un ramo laterale si apre e prosegue nell’interno. Per penetrarvi, bisogna passare per un buco strettissimo, strisciando su un’argilla bagnata, saponosa, che cambierà completamente il colore del naso e del vestito. Numerosi pipistrelli, spaventati, non potendo uscire, tappando noi l’apertura, ci sbatteranno sulla testa. Quasi sull’entrata della caverna, vedremo una bella stalattite, somigliante ad un limone, per il colore e la forma, con superiormente un breve cunicolo.


L’ingresso superiore alla Buca

Usciti all’aperto, per completare la nostra visita, saliamo il colle soprastante la caverna, alzandoci di circa trenta metri sul livello dell’entrata principale. Ci troviamo al bordo di un imbuto, scavato nella viva roccia, in cui si precipita un rivo. Un canale naturale, inciso nella parete, ci permetterà di scendere fino al fondo; non fidatevi a far ciò, senza l’aiuto di una corda, se il sasso è bagnato, perchè la salita vi sarebbe penosissima, causa la viscidità che assume la roccia.
Percorso il breve cunicolo, che parte dal fondo, ci troviamo su di una spaccatura della profondità di una decina di metri, in cui precipita l’acqua, e che constatiamo essere il principio della cascata che vedemmo in fine al ramo principale, cascata che trascina nella caverna foglie e rametti.
E adesso, non vi pare di esserci guadagnati il diritto di far colazione? Buon appetito!


(In: L’Eco di BERGAMO, anno 61, n. 120, 23 maggio 1942).

ESCURSIONI SCIENTIFICHE LA BUCA DEL CORNO (II)

Vi ricordate dell’«escursione» comparsa nell’Eco del 23 maggio, in cui visitammo «turisticamente» la Buca del Corno? Ci siamo lasciati augurandoci buon appetito, chè la colazione ci attendeva.
Terminato il «fiero pasto», non sarà discaro, specialmente se splende il sole fare un po’ di siesta.
Non vi spiaccia che intanto vi narri la storia della Buca (forse per farci dormire?, commenta un maligno...).

Risalendo nel millennio

Non so se, visitando la caverna, vi siete accorti del cambiamento di forma che avviene durante il suo corso. Infatti, fino circa al camerone centrale, prescindendo dai rami laterali, si risale quasi un tubo, mentre dal camerone in su si passa sul fondo di un alto crepaccio, il tutto è lisciato, e sempre percorso dal ruscello precipitante dall’imbuto superiore.
Ed a chi non abbia capito ancora l’origine della Buca, dopo si chiare e persuasive constatazioni, darò qualche spiegazione.
Fu nella lontana epoca quaternaria (recente, invece, per i geologi, terminando essa coi nostri giorni) quando, assestatasi come le altre anche la nostra provincia, dopo il grande sollevamento che diede origine alle Alpi, che i ghiacciai, scesi dalle più alte cime montane a lambire la pianura padana, e le grandi piogge che trituranti e scavanti, diedero origine alla conformazione attuale della nostra regione, colle sue valli, i suoi laghi, ecc. In quei tempi la Buca doveva esserci già, ma in embrione; chiarisco l’idea. Il crepaccio, che ammirammo per la sua altezza, situato tra il camerone centrale e la cascata, fu il primo abbozzo della caverna; esso fu provocato, insieme a parte dell’imbuto superiore, dall’ampliamento di una fessura preesistente nella roccia. L’acqua piovana scorrente a monte della Buca nella valletta, si precipitava nella cavità originaria dell’entrata superiore e, o rodendone il fondo o trovandolo già forato, cadeva, come adesso, nella primitiva fenditura, andando a rigurgitare con violenza nell’attuale camerone centrale, naturalmente di dimensioni più piccole e pure esso in parte già formato.
Ad ogni modo, il ruscello doveva pur trovare uno sbocco all’esterno, chè il camerone si riempiva in parte, anche se poco, dopo le improvvise piogge; venne a determinarsi così una notevole via di scarico attraverso gli strati di calcare, via che sbucò nel punto dell’imbocco inferiore attuale. Ivi l’acqua, con la sua azione chimica e meccanica, lavorò di certo un po’ come in una condotta forzata; le prove le abbiamo dalla compattezza e dall’evidente lisciamento delle pareti e specialmente della volta e dai profondi incavi, corrispondenti alle piegature del «budello», provocati dall’urto del liquido elemento nella roccia. Si constata bene ciò specialmente nel tratto che va dal luogo in cui scompare la luce del sole ad alcune decine di metri prima del camerone. I rami laterali ebbero anch’essi un’origine più o meno simile alle precedenti. Coll’andar del tempo, poi, si formarono le poche ma belle concrezioni che ornano la caverna.
Una notizia può essere interessante: la caverna venne erosa nei calcari biancastri, contenenti noduli di silico, appartenenti al giurassico, e, se osserverete, vedrete passare, appena a sinistra di essa, il limite di separazione di tale terreno con quello del cretacico.


Gli antichi abitatori della Buca

Acquistata la fisionomia odierna, la grotta assunse il ruolo di rifugio degli animali, ed anche di stazione e di sepoltura di uomini antichissimi.
Per ben chiarire la cosa, sarà necessario rifarci alle precedenti esplorazioni «ufficiali» della caverna, tralasciando tutte le altre minori, con particolare riferimento a quelle che ebbero di mira il ritrovamento di avanzi fossili,di uomo e di industrie dei nostri progenitori.
Già nel 1782 il nostro celebre naturalista Giovanni Maironi da Ponte descrive esaurientemente la Buca, tralasciando però le diramazioni laterali, nella “Storia naturale della provincia bergamasca”.
Altri accenni alla Grotta li dà Giuseppe Mangili nel 1807, nelle sue Osservazioni sui mammiferi soggetti a periodo letargico.
Si deve giungere fino al 1875 per avere notizie di ritrovamenti in essa di oggetti lavorati.
Vi ricordate la Serata
XIX del “Bel Paese” di Antonio Stoppani? Egli racconta ai suoi attenti uditori di avervi compiuto due gite: la prima senza risultati. La seconda escursione deI 1872 fu più fruttuosa. in essa il Nostro venne accompagnato del celebre naturalista inglese Sig. Forsyth Major che voleva studiare i pipistrelli.
Nell’uscire dalla caverna, egli ed il suo compagno si diedero a scavare nell’argilla che riempiva per circa mezzo metro una nicchia laterale. Anche la Buca del Corno offrì il suo piccolo contributo alla storia dei tempi preistorici: carboni spenti, indizio di mense primitive, ossa lavorate e fin un frammento d’un coltello di selce, ed un rozzo coccio, il tutto mescolato ad un terriccio nerastro e grasso.
Il Sacerdote Amighetti Alessio, conosciuto dai bergamaschi per aver scritto l’interessante libro “Una Gemma Subalpina”,vi scoperse ancora l’8 luglio 1888 un coltello di selce, come egli attesta in un suo libriccino di note e memorie, che mi passò per le mani.
Nell’ottobre del 1902, nella Rivista “La Lettura”, si ha una descrizione quasi completa della Grotta, per opera di Giorgio Quartara. Notizie di ritrovamenti di ossa fossili ci
sono dati dal Prof. Airaghi, nel giugno del 1927, col lavoro «Elenco dei mammiferi fossili delle grotte lombarde. Egli ci dice che l’allora studente Cesare Chiesa, ora apprezzatissimo valente Direttore del Museo di Storia Naturale di Tripoli, rinvenne probabilmente nello stesso giacimento scavato dallo Stoppani, due falangi di orso, un femore e una vertebra di volpe e un osso di cervo indeterminato.
Nel 1933 il Prof. Enrico Caffi, che dirige con tanto amore il nostro Civico Museo di Storia Naturale, pubblicò nella “Rivista di Bergamo”un assai interessante articolo “Sepolcreto neolitico della Buca del Como in Val Cavallina”.
In esso descrive gli oggetti trovati appunto nella caverna, cioè due cuspidi di frecce, un raschiatoio intero e due frammenti tutti di selce, una accetta levigata di pietra verde, sette cocci di rozze stoviglie, una collanina composta
di ventisette dischetti perforati artificialmente di calcare bianco, del diametro di mm. 6-10 e dello spessore di mm. 1-5, una mandibola di uomo giovane, un frammento di teschio umano ed un artiglio di zampa anteriore d’orso.
L’esimio naturalista bergamasco dice che il materiale lo ebbe in dono per il Museo dal Sig. Borra Faustino, che compì gli scavi ed attribuisce l’età del deposito al neolitico, ad un periodo, cioè, in cui la civiltà dei nostri antenati aveva già raggiunto un notevole livello.
La mandibola ed il frammento di cranio, pur essendo parzialmente anneriti, non sono calcinati, quindi sono avanzi di sepoltura e non di cremazione. E dopo i
rinvenimenti del Borra il Prof. Caffi non dubita “di affermare che anche la Buca del Como è stata usata per sepolcreto”.
Ancora nel 1938 il Sig. Carlo Maviglia, egregio paletnologo di Milano, distintosi per numerosi, importanti lavori e scoperte in proposito, trovava, frugando tra il terreno rimosso dalle precedenti escavazioni, alcuni frammenti di ceramica rozza; dall’esame dei suoi reperti, di quelli del Museo di Bergamo e della mia raccolta, egli conclude, pur con riserve, che essi si debbano attribuire all’eneolitico, cioè ad un’epoca posteriore a quella supposta dal Prof. Caffi, come mi venne ultimamente comunicato per lettera dallo stesso Sig.
Maviglia.
Debbo poi ricordare una recente pubblicazione di Mario Pavan, “Osserbiologiche su alcune grotte lombarde con sistema idrico interno”, comparsa nella Rivista “Le Grotte d’italia” del 1941, in cui sono riassunti i precedenti studi zoologici saltuari e viene studiata esaurientemente la fauna della Buca del Como.


Ulteriori ritrovamenti

Posso così ora dare qualche notizia sulle escavazioni da me eseguitevi e su quanto vi ho trovato.
Cercherò di essere breve. (Mi sembra già di vedere la faccia lunga che fanno certuni di voi e di udire alcuni cordiali» incitamenti a finire presto il mio discorso, che minaccia di riuscire troppo prolisso).
Le gite finora compiutevi a tale scopo del 1941 e nel maggio-giugno 1942 da me insieme ad amici assommano finora a sei, con un totale complessivo di permanenza nella caverna di circa quaranta ore.
In quattro escursioni fui accompagnato dal giovane Bulla Alessandro, che contribuì a numerosi ritrovamenti di esemplari di ossa fossili e di oggetti lavorati. Lo scavo maggiore l’ho fatto nella argilla già in parte rimaneggiata dal Sig.
Borra e dal Sig. Maviglia, ed in cui ho ragione di ritenere (malgrado la descrizione alquanto contraria del «Bel Paese») che lo Stoppani, e posteriormente l’Amighetti, abbiamo ritrovato i reperti citati; ad ogni modo il deposito trovasi in una rientranza laterale a sinistra entrando, ad una quarantina di metri dall’ingresso,dove la Buca comincia a restringersi a budello, e la luce del sole a scomparire.

In tal punto si presenta, o meglio si presentava, essendo ora quasi completamente scavato, un banco di argilla, dell’altezza di circa sessanta cm., lungo un otto metri. Come mi disse personalmente il sig. Borra, che fu il primo a rimaneggiarlo profondamente, superiormente vi erano alcune decine di centimetri di denti, forse di cervide, due di carnivori e due di roditori, probabilmente topo, assieme a numerose ossa rotte naturalmente di animali. Anche nel corridoio antistante, in un’argilla più compatta, rinvenni un dente e pochi oggetti. Infine, alla superficie di depositi argillosi posti in vari punti del primo ramo che si incontra avanzando alla sinistra, ove, per entrare, ci sporcammo tutti, si raccolsero ossa di piccoli animali, che ritengo recenti. Assaggi eseguiti in altri punti non diedero risultati positivi.



La popolazione attuale della Buca

Per fornirvi qualche notizia sulla fauna che ora abita la grotta, non posso che basarmi sul bel lavoro già citato del Pavan, non avendo io fatto speciali ricerche su ciò. Gli animaletti propriamente cavernicoli che hanno ivi la loro sede, sono alcune specie di insetti, di lumache, di ragni, una di vermetto, ecc. Tanto in cima che sul principio della caverna vivono esseri che sono propri di ambienti all’aperto e luminosi; i primi sono stati trascinati dall’acqua precipitante nella Buca dall’imbuto superiore, ed i secondi sono risaliti per proprio conto.
A questi ultimi appartengono le frequenti larve di salamandra e le rane che si rinvengono nelle pozze dell’imbocco inferiore. Bisogna poi ricordare i famosi pipistrelli o sgrignapole, che tanto spaventarono lo Stoppani, trovansi nella grotta un posto di soggiorno ideale anche per il fatto che la sua temperatura si mantiene notevolmente costante sulla decina di gradi centigradi e che, per mezzo dei suoi due imbocchi, viene abbondantemente aereata. Il mio dire vi ha interessati? Sarò contento. Vi ha fatti addormentare? Avrò avuto almeno tale soddisfazione, sebbene un po’ magra.


(In:L’ECO DI BERGAMO anno 61, n 150, 27giugno 1942).


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