BUCA DEL CORNO - ENTRATICO


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Mangili 1807

DOCUMENTI > BIOLOGIA

Mangili Giuseppe, 1807
SAGGIO D'OSSERVAZIONI per servire ALLA STORIA DEI MAMMIFERI


Tra i mammiferi volanti tengono un luogo distinto, per ciò che risguarda i fenomeni del letargo conservatore, alcune specie di pipistrelli, e segnatamente quella che chiamasi Ferro a cavallo, e la Nottola propriamente detta: nomino queste due specie come quelle che formarono il soggetto di alcune mie osservazioni e nel cuore dell'inverno allorquando si trovano assiderate entro le caverne, e nella state quando menano una vita errante dando la caccia a quegli insetti verso i quali il loro particolare appetito li sprona. Fu adunque sul finire dell'estate del 1795, che scorrendo per mio diporto ed istruzione i monti e le valli del dipartimento del Serio, a fine di conoscere la natura del suolo e di raccogliere i minerali più interessanti, o gli avanzi dei corpi organizzati putrefatti che attestano le anche il catastrofi che scombussolarono eziandio il suolo di questa montuosa contrada dell'Italia superiore, penetrai nella maestosa grotta dell'Entratico, che si interna per 400 passi all'incirca, entro una montagna di natura calcarea. E dopo aver fatto tre quarti del viaggio sotterraneo, veggo la grotta ingrandirsi per poco in ogni senso, ed elevarsi a foggia di cupola. Ivi segnatamente trovo il pavimento coperto di materie escrementizie, e sollevando gli occhi in alto veggo tutta intera la volta coperta di Pipistrelli, ed alcuni pochi in movimento che andavano svolazzando per le diramazioni secondarie di quella grotta. La tenebrosa atmosfera della grotta formicolava tutta di piccole falene, le quali servir dovevano di alimento a quella gran moltitudine di Pipistrelli, tutti, come ho potuto osservare, della specie linneana murinus, e, l'esame delle materie escrementizie ritrovate mi convinse appieno del sospetto a prima giunta concepito rapporto all'uso delle dette falene.
Sotto quell'epoca io non rimasi colpito salvo che dal numero grandissimo dei murini che s'annidavano verso il fondo di quella grotta, non meno che dalla copia delle falene, che menando in compagnia dei murini una vita affatto notturna, finivano da ultimo per servir loro di pascolo.
Sul finire del dicembre del medesimo anno, dietro un eccitamento avuto dal celebre mio predecessore maestro Spallanzani, feci una seconda visita a quella grotta, all'oggetto di osservare se nel fondo di essa trovavansi tuttavia gli stessi murini in stato di torpore; giacché variando le opinioni tra i naturalisti, se essi fossero in ogni tempo stazionarj tra noi, ovvero di passaggio come tante specie di uccelli, importava a Spallanzani d'essere da me chiarito su questo punto.
Io pertanto visitai alla grotta, nell'interno della quale il termometro segnava circa nove gradi; osservai qua e là nell'internarmi la volta della medesima, e vidi due soli gruppi Pipistrelli assiderati non molto numerosi, poiché tra tutti e due appena saranno stati trecento. M'interno più oltre, vale a dire, fino al gran camerone dove mi aveva veduto delle migliaja sul finire della precedente estate, e con mia grande sorpresa non ve ne scorgo pur uno per quante minute ricerche abbia praticate.

Allora, rivolti passi indietro, sparai un fucile ben carico in vicinanza dei Pipistrelli letargici, nè m'accorsi che alcuno si fosse scosso né punto né poco ad un così grande rimbombo. Sparai un secondo fucile carico di pallini contro uno dei due gruppi pipistrelli, e vidi cadere più di settanta, pochi morti, molti soltanto feriti; e gli altri, rimasti illesi, durarono nel loro sonno letargico senza muoversi. Esamino ad uno ad uno dei Pipistrelli caduti, e con mia sorpresa non vi trovo un solo murino, ma veggo essere tutti della specie Ferrum equinum: lo stesso dei casi di quelli dell'altro gruppo, parecchi dei quali feci cadere col mezzo di una pertica in sul pavimento: segno quindi che i murini generale all'avvicinarsi della fredda stagione passano in climi più benigni, ed altre specie indigene della Germania, o delle altre finitime contrade vengono a noi per isvernare nei nostri sotterranei, dove probabilmente la temperatura deve essere più dolce che non in quelli del nord, e quindi più opportuno a mantenere Pipistrelli in stato di letargo conservatore. Verso la metà del febbrajo 1804 volli di nuovo visitare quella grotta, e fui accompagnato da una folta neve sino al mio ingresso. Il termometro segnava zero fuori dalla grotta, ma all'interno dove stavansi assiderati molti Pipistrelli, montò invece sino ai nove gradi. La massima parte di essi erano della specie lin. noctula i pochissimi ne ho veduti dell'altra specie chiamati Ferro a cavallo. Due o tre di questi Pipistrelli che sono abbandonati al volo al solo urtarli con l'infundibulo che aveva posto all'estremità di una pertica, al fine di staccarle dalla volta con la minore scossa possibile. Notai ancora che lo stimolo di una viva luce di due torce a vento produsse in alcuni di essi un lievissimo movimento di ali, senza per altro che si muovessero di luogo né punto nè poco. Molti di questi di Pipistrelli, staccati con tutta diligenza, seguitarono a rimanere letargici. Nuotai in essi delle inspirazioni e di espirazioni dapprima assai lente e rare, e subito dispiegai sotto un buon microscopio l'ala di un pipistrello assiderato, ed osservare attentamente per qualche tempo i piccoli vasi che vi si diramano, notai in taluni di essi la diastole e la sistole e quindi un tenue avanzamento del sangue per entro questi vasi. L'incomoda situazione nella quale mi trovava, e la violenta posizione del Pipistrello per cui dopo un certo tempo si svegliò, m'impedirono di fare dentro la caverna una serie abbastanza lunga di osservazioni rapporto alla circolazione del sangue. Solo potei notare che questa ha luogo, ma in maniera la più lenta, non continua, e che si fa a riprese. I Pipistrelli allorquando sono presi del letargo conservatore, fanno egualmente che le Marmotte e gli altri mammiferi assiderati, dei moti convulsivi, ogni qualvolta vengono stimolati da qualche agente esterno. Ad uno di essi accostai la torcia a vento in modo da farlo in breve tempo arrostire. Diede all'istante dei moti convulsivi, ma non per questo si staccò giammai dalla volta da cui pendeva. Anche per questi piccoli mammiferi si richiede un tempo più o meno lungo secondo il loro fisico, e secondo la qualità dell'ambiente, per passare dal sonno letargico alla veglia; ed in prova di questa mia asserzione dirò, che molti dei Pipistrelli letargici collocati entro un cesto li trasportai alla bocca della grotta, e praticati entro la neve altrettanti piccoli cavi quanti erano i Pipistrelli assiderati, ve li posi dentro tutti l'uno dopo l'altro, e dove per lo addietro i segni di respirazione erano assai rari e languidi, appena si trovarono in mezzo alla neve, che diventarono frequenti a segno che non mi fu più possibile di poterli contare. In tale maniera il calore che venne a svilupparsi entro ai polmoni, si diffuse più o meno celermente mediante una più rapida circolazione a tutta la macchina; e così tutti quei Pipistrelli, altri dopo una mezz'ora, altri dopo un'ora, si svegliarono perfettamente, e aggrappandosi alla neve, uscirono dai piccoli loro cavi, e tutti sotto i miei occhi, mentre ancora nevicava, presero il volo. Fecero adunque alcuni svolazzamenti all'interno della grotta, poi entrarono tutti l'uno dopo l'altro nella grotta medesima, internandosi nelle sue più remote concamerazioni per ivi abbandonarsi nuovo al letargo conservatore. Molti di questi Pipistrelli assiderati riposti dentro una cassetta di trasportare meco a Milano. Uno di essi tenuto per una notte fuori dalla finestra sotto la temperatura di gradi -2, la mattina lo trovai gelato; un altro invece lo vidi preso dal letargo mortifero, ma rimesso in un ambiente meno rigido, dopo alcune ore si riebbe perfettamente. Nel seguente giorno alle dieci e mezzo del mattino collocai un Pipistrello vigile assai vispo sotto una campana per impedirne la fuga, in maniera però che la sua respirazione non fosse turbata. L'ambiente era di gradi -1. Subito cominciò in esso respirazione affannosa; tentò ogni via di fuggire, e durò in tale inquietudine sino alle dodici. Dopo raccolse le ali, e come meglio poté, il suo corpicciuolo. Nuotai dei piccoli movimenti nella sua testa che parevano convulsivi e simili a quelli che fa nascere il singhiozzo. All'uno ora pomeridiana cessarono tutti i movimenti salvo quelli che erano grandi e frequenti della respirazione. Questi dall'un'ora alle cinque scemarono da un gradatamente, la più nella forza che nel numero. Tra le cinque e le sei erano appena sensibili, finalmente verso le sei cessarono del tutto. Lo lasciai ancora per qualche tempo in tale stato che poteva chiamarsi veramente letargo mortifero; indi lo ritirare per vedere se un ambiente meno rigido o più dolce valeva a ridestarlo; ma ogni mezzo fu inutile per riaverlo: diede qualche leggero segno di vita, ma poi in pochi minuti si estinse affatto in tutto il suo corpo il principio vitale.
Osservai precisamente la stessa cosa in un altro che durante la notte era stato esposto alla temperatura di -2. Alcuni che duravano tuttavia nel loro letargo conservatore, perché collocati in un ambiente che era tra i sei e gli otto gradi, osservati attentamente, ogni due, 3,4 minuti di quiete davano tre o quattro successivi segni di respirazione; poscia si riposavano, indi ricominciava il ritmo. Un altro Pipistrello che si mantenne letargico sino al giorno 26 febbraio, lo esposi ad un ambiente piuttosto rigido, e tosto vidi crescere nell'intensità e nel numero di segni di respirazione fino a che si svegliò perfettamente allora subito tentò ogni via di fuggirsene, ma inutilmente; ed obbligato a rimanere in quell'ambiente tutta la notte, andò gradatamente scemando in esso di lui il principio vitale, finché nella mattina del susseguente giorno 27 febbrajo passo dal sopore alla morte. Pare quindi dimostrato che l'interna economia dei mammiferi soggetti un periodico letargo come i Ghiri, le Marmotte, i Pipistrelli ec., ogni qualvolta vengono esposti in un ambiente notabilmente più rigido di quello che loro si richiede per vivere in stato di letargo conservatore, sia suscettibile sino ad un certo punto di generare il calore necessario per produrre la veglia dell'animale, e quindi abilitarlo a cercarsi dei nidi più riparati dall'inclemenza della stagione per continuarvi la sua vita; e che ogni qual volta viene forzato a rimanere lungo tempo in un ambiente soverchiamente rigido, dopo aver opposto per un tratto di tempo, più o meno lungo secondo la natura dell'animale, alla temperatura deprimente tutte le forze che la natura gli ha compatite, valevoli a produrre il calore necessario alla conservazione della sua vita, queste forze restano al fine del tutto esaurite, quindi cessa nell'animale principio vitale e dopo si congela.

ancora dell'autore ...

Mangili Giuseppe, 1796
Lettera dell'Abate Giuseppe Mangili
al celebratissimo

Sig. Prof. Spallanzani.


Abate Giuseppe Mangili

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Rhinolophus ferrum equinum



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